Storie di Tonón. Notte

Un quartiere dormitorio sotto la luna.
Palazzi come schiere di casermoni nella desolazione di una periferia senza contorni.
Passa un aereo, svelando da un cielo lontanissimo il punto di arrivo di quel reticolato urbano giunto ai suoi estremi gangli.
Tonón è ospite in un istituto teologico che, in quella dimensione fatta di assenze, pare immerso in una grazia placida.
L’aria notturna è fresca, frizzante: sa proprio di quasi primavera.
In fondo, oltre gli alberi, un condominio in particolare ha la luce dei balconi cangiante, da rosso a viola fino a blu, poi verde, giallo, arancio e cremisi, in un ciclo infinito.
Un fruscio, il lampo di un ricordo di una vita fa: Giuliana che a piedi nudi attraversa la stanza.
Tonón si volta: in un angolo, una Vergine Maria col cuore immacolato sul petto e senza una mano, con Gesù consunto nell’altro braccio, il legno marcio a pezzi.
Il tempo è impietoso anche coi simboli dell’eternità.
“Tu sai, io non so; Tu sai. Un giorno, spero di sapere anch’io”.
Un deferente inchino, e Tonón rientra in camera: anche stanotte, ha pagato il suo tributo all’insonnia.
Nessuno lo sa, ma negli spiragli della desolazione lui riesce a trovare l’infinito, e questo gli fa assaporare la felicità.

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Storie di Tonón. Riflessi

Il nuovo specchio a lasagna nello studio del Dott. Casiraghi, era una delle cose più odiose che mai avesse prodotto mano d’uomo.
Quel nuovo, dannato specchio a lasagna.
Eppure lui amava le lasagne, altroché.
«Ma no, non è uno specchio a lasagna! – lo aveva ripreso la Sig.ra Casiraghi – È un “distorting mirror”. Si vede che non ne capisce di art déco, Sig. Tonón!».
Art déco, bah.
“Distorting mirror”, bah.
Tonón era certo che il vecchio Casiraghi, nel suo cuore, la pensasse esattamente come lui.
Si poteva discettare di gusti, a ognuno il suo, certo, ma fatto sta che quell’orribile coso sfidava lo spettatore nella percezione di sé: deformava l’immagine del malcapitato in ogni contorto e fallace riflesso che produceva, sadicamente, di volta in volta.
Spostandosi di qua, Tonón era più magro.
Spostandosi di là, era persino più grasso.
Spostandosi ancora più in là, aveva un nasone enorme, con le occhiaie che sparivano sotto gli zigomi che parevano due grosse arance tra i baffoni da tricheco.
Le sue care, vecchie occhiaie, degno compenso di tante notti insonni perpetrate con disciplina ferrea.
E così via, in infiniti molteplici modi, corrispondenti ai suoi spostamenti dinanzi al malevolo specchio.
E nessuna deformazione era mai uguale alla precedente.
“Uno, nessuno e centomila Tonón” – pensó tra sé.
E scoppiò a ridere: che pensieri buffi aveva, a volte!
Scattò a rimettersi il cappello e uscì da lì di corsa: una bella, lunga passeggiata verso Piazza San Marco sotto il cielo terso e accogliente gli avrebbe schiarito le idee, più di ogni altra cosa.

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Storie di Tonón. Risolutezza

“A volte mi sento patetico e solo” – disse tra sé il Sig. Tonón.
Anzi, non era che ci si sentisse: lui lo era, era esattamente così.
Era patetico e solo.
Ma pensò anche che, per quanto ciò fosse ineluttabilmente e ferocemente vero, comunque ne aveva passate tante, ma tante davvero, e non tutte meritate.
Perciò, aveva diritto anche lui alla sua piccola porzione di benessere, di serenità, a prescindere da tutto.
Finì il suo piatto di pennette col pesto, in mezzo agli stormi di gioventù Erasmus che pasteggiavano rumorosi nelle ale dell’ostello, e si preparò a uscire per ammirare la città al tramonto.

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Il Don e io. Di sentimenti e controllo

Ti ho visto all’adorazione eucaristica ieri, giovane. Mi ha fatto davvero piacere. Com’è andata?
– Mah. Non so, Don. Ci sono andato, sì, ma…
– Ma?
– Ma niente di che. Ho letto cose di santi… Anche di qualche Suo parrocchiano su FB, in realtà. Ho letto di sensazioni di gioia, felicità ed emozioni incredibili davanti al Santissimo esposto. Io però non ho sentito niente.
– Niente?
– Niente.
– E allora che hai fatto?
– Beh, Lei mi ha visto, Don. Sono stato seduto, ho guardato l’Eucaristia esposta e… Niente. L’Ostia era lì, e io ero qui, seduto. Ci siamo guardati a vicenda, ma non ho sentito niente.
– Va benissimo. Eri lì a guardare Gesù, e Gesù era fisicamente lì, realmente presente nell’Eucaristia, a guarda te. Gesù non solo ti guarda, ma ti vede.
– Non so. Non so niente. E forse non voglio sapere niente.
– Lo credi che Dio ti ama?
– Sì, forse. Credo… penso di sì.
– Sei solo stanco. Preoccupazioni e affanni sono come i rovi che soffocano il seme della fede. Non lasciare soffocare il seme dentro di te. Gesù ti ama, e non sempre questo si sente, non dipende da noi sentirlo. L’amore, sia per gli uomini che per Dio, è azione. E Dio agisce anche nella nostra aridità. È Lui stesso che la permette, l’aridità, perché fa parte del nostro percorso di crescita.
– Sarà.
– Non abbiamo il pieno controllo sui nostri sentimenti. In fondo, non conosciamo davvero neanche noi stessi. Ci è ignoto perfino l’abisso del nostro cuore. Ciò su cui abbiamo il controllo sono le nostre scelte, di attimo in attimo.
– Non ci sono concesse moltissime scelte però.
– È vero. La nostra libertà è estremamente limitata, da tutto quello che ci condiziona. Nasciamo già con limiti e aspettative. Ma ogni attimo possiamo esercitare la nostra volontà sull’opzione fondamentale: riconoscerci piccoli e bisognosi. Nessuno è Dio di sé stesso, nemmeno se s’illude, e la sofferenza ci fa atterrare su questa realtà.
– Ok Don, La assecondo. Ma poi, per il resto, non so più niente.
– Va bene così. Fa’ un respiro profondo e il primo passo in avanti, e poi un altro, e un altro ancora. Per adesso, lascia passare la bufera e non pretendere da te stesso nulla di più.

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Risoluzioni

“Vi lascio andare tutti. Via, via, lontano da me” disse nell’anima ai suoi pensieri, e in questo improvviso distacco da tentazioni e rancori stette solo come un principe, per la prima volta sereno nella sua solitudine, fiero dei suoi propositi, feroce come un capitano che si priva di cibo e ogni altro conforto, e compiaciuto sta, su un’alta rocca, a contemplare la vastità delle sue difficili risoluzioni.

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